Luigino Poli, vi spiego perchè per ora non riaprirò

Il vicepresidente della rete di albergatori del territorio "La Milano che Conviene" spiega perchè i suoi hotel e ristoranti resteranno ancora chiusi

SAN VITTORE OLONA (MI) – “In questi giorni in molti mi hanno dipinto come un imprenditore scomodo ma vi assicuro che non mi piace affatto andare controcorrente. Anzi, di fronte alle difficoltà mi comporto sempre allo stesso modo. Analizzo i fatti, faccio due conti e in base a questi prendo le mie decisioni. E così ho fatto anche questa volta.”

A parlare è Luigino Poli, imprenditore alberghiero e della ristorazione dell’Altomilanese e vicepresidente della rete di albergatori del territorio “La Milano che Conviene” , che ha deciso di non riaprire per ora le proprie attività, spiegando le motivazioni con grande lucidità: “Vedo tanti miei colleghi che pure non avendo la certezza – non dico di guadagnare – ma più semplicemente di rientrare delle spese hanno deciso di aprire le loro attività facendo investimenti anche di decine di migliaia di euro per adeguarsi a norme tecniche che tutto sono men che chiare. Lo so che molti di voi riaprono non perché c’è la certezza di rimettere in moto l’attività a pieno regime ma semplicemente nella speranza che almeno si muova qualche cosa. Tuttavia dietro alla mia scelta di non volere aprire (non per ora e non a queste condizioni!) non ci sono solo valutazioni economiche, ma anche – se mi permettete – di ordine morale.”

Poli punta il dito su due aspetti, legati alla riapertura, che meritano di essere focalizzati ed analizzati con molta attenzione: i protocolli di sicurezza e la decisione dell’INAIL di considerare il Covid-19 una malattia professionale: “Per quanto riguarda i protocolli di regolamentazione per il contenimento della diffusione del covid-19 per il comparto dei servizi della ristorazione, delle strutture ricettive e negli ambienti di lavoro infatti ci sarebbero da dire tante cose. Tralascio di ricordare che quelli rilasciati dal Ministro del lavoro e della salute non sono affatto chiari. Così come non è chiara la linea interpretativa delle regioni che viaggiano in ordine sparso. Ci sono disposizioni che si sovrappongono, cambiano e si contraddicono ad ogni momento. Qui il vero problema sta a monte ed è prima di tutto un problema di carattere etico, di coscienza. Non posso accettare che le possibili (probabili, forse inevitabili) conseguenze sanitarie di questa sciagurata riapertura vengano trattate dal punto di vista legale come infortunio sul lavoro. Continuo a chiedermi per quale motivo sia stato dato l’incarico all’INAIL e non all’INPS di tutelare i nostri collaboratori e le nostre aziende, che devono essere sgravate dai maggiori costi che deriverebbero dalla gestione come malattia, ed ho sottoposto la stessa domanda anche a molti rappresentanti di categoria ricevendone risposte fumose e confuse.”

Non voglio farla troppo semplice ed è chiaro che Covid-19 è un virus bastardo. Le persone si ammalano per trasmissione diretta del virus che può avvenire sul luogo di lavoro come in qualsiasi altro luogo. Allora perché se un dipendente si ammala di Covid19 deve essere considerato infortunio? L’infortunio sul lavoro in quanto tale sottintende una relazione diretta fra il modo in cui viene organizzato il lavoro e il danno fisico al collaboratore, una relazione rispetto alla quale, io non posso e non voglio essere ritenuto in alcun modo responsabile. Tutto questo insieme di ragioni rafforzano i miei dubbi e le mie perplessità rispetto ad un contesto dove continuano a mancare i presupposti necessari per poter fare impresa: chiarezza e regole certe. Nessuno di noi ha la sfera di cristallo e non sappiano cosa ci riserva il futuro ma ognuno di noi ha le proprie convinzioni e come tali ha il diritto di esprimerle“, conclude Luigino Poli.