Lo sport al tempo del Covid

Com’è possibile, infatti, pensare di giocare con altri bambini, senza che vi sia un contatto, uno scontro, una marcatura?

BUSTO ARSIZIO –  Vale la pena di questi tempi spendere una riflessione a proposito dei bambini e dello sport.
Come è stato più volte ricordato, i centri sportivi sono chiusi dal 09 di marzo e sono mesi oramai che è impossibile praticare le varie attività. Tra quelle maggiormente penalizzate ci sono gli sport di squadra, come il calcio, il basket, la pallavolo e la pallanuoto, che sono anche le più praticate sul nostro territorio.

Il motivo di questa scelta sta nel fatto che, essendo attività di gruppo, è quasi impossibile svolgerle rispettando le distanze imposte e tutti gli altri provvedimenti del Governo. Com’è possibile, infatti, pensare di giocare con altri bambini, senza che vi sia un contatto, uno scontro, una marcatura? Com’è possibile pensare di non sudare o di contenere goccioline di sudore e di respiro?
Eppure, le diverse federazioni sportive delle diverse discipline hanno cercato di individuare prima, e imporre poi, tutta una serie di regole che in qualche modo possano “tutelare” chi pratica tali sport dal rischio di un contagio.

Ma quali sono i rischi psicologici per i nostri piccoli?
Tralasciando in questa sede di discutere della reale minaccia o meno di questo virus per la popolazione, a mio parere varrebbe la pena chiedersi in che misura è opportuno riprendere un’attività sportiva a queste condizioni.
Da professionista psicologa la domanda che mi pongo è questa: siamo sicuri che il bene dei nostri figli sia rappresentato da una ripresa a tutti i costi di quelle che erano una serie di impegni ginnici, sacrificando lo spirito dello sport e che non sia piuttosto meglio rinunciare per il momento a certi tipi di impegni, rimandando la loro pratica a tempi migliori?

Le mascherine, il distanziamento sociale, le proibizioni continuano a ricordare a tutti noi e specialmente ai più giovani un messaggio di sconforto e di pericolo. Io ritengo che imporre queste disposizioni anche nelle attività ludico-sportive sia profondamente deleterio e sbagliato, poiché tali messaggi minano il senso di fiducia che ciascuno di noi ha nel mondo, nel destino, nella possibilità di essere felice e rappresentano un rinforzo a quelle idee circa la paura di morire e di ammalarsi.

Inoltre, esiste una palese contraddizione tra le attività disciplinate delle palestre e quelle che si svolgono liberamente nei parchi e nei giardini pubblici dove sono presenti delle strutture sportive. In quest’ultimo caso, chiunque potrà constatare che nei luoghi di svago bambini e famiglie giocano liberamente tra loro, riuscendo così a godere pienamente tanto dei benefici fisici, che di quelli psicologici derivanti dallo sport e dalle endorfine che vengono liberate. In ragione di questa naturalezza e della sua utilità, verrebbe da chiedersi se sia giusto penalizzare proprio e soltanto l’attività di associazioni e club, che allo sport e ai suoi principi hanno dedicato statuti e vite intere di allenatori e agonisti.

Sono profondamente convinta che le decisioni migliori siano quelle libere dalla paura e dai condizionamenti sociali e in questo momento i politici più che mai sono in preda all’una e agli altri. Occorrerebbe fermarsi a riflettere e forse sanare le mille contraddizioni a cui assistiamo ogni giorno nella nostra vita reale sarebbe più facile.

Dott.ssa MARIA RITA SCARCELLA – Psicologa Analista Junghiana
Fondatrice e Responsabile del Centro L’Equilibrio