Lockdown per fasce di età? La psicologa: “Giusto proteggere le categorie più a rischio!”

Occorrono strategie di prevenzione mirate verso quella fascia della popolazione più debole

BUSTO ARSIZIO –  Il recente rapporto dell’Ispi sulla letalità del covid-19 presenta dei dati interessanti: esso evidenzia che la pericolosità di questo virus è stata alta soprattutto per le fasce più anziane della popolazione, già dai 60 anni in sù e in special modo oltre gli 80 anni.
Eppure in televisione, telegiornali e programmi di varia natura continuano a diffondere informazioni che non dicono questo. Le notizie evidenziate sono altre.

Vi è la conta dei “nuovi positivi”, con il dubbio che nel novero finiscano anche i tamponi di controllo di chi è risultato positivo in precedenza ; vi è la conta dei morti, con la quasi certezza che molti di essi non sono morti a causa del Covid, bensì sono risultati positivi al tampone pur soffrendo di una o più patologie conclamate e cronicizzate; vengono mandate in onda notizie sulla situazione dei pronto soccorso e delle terapie intensive e, infine, si va a caccia del paziente più giovane, in modo da poter dimostrare che la malattia esiste e colpisce non solamente gli anziani.

Da nessuna parte c’è un accenno al rapporto dell’Ispi e ai suoi importanti contenuti, importanti perché se io so qual è la categoria di persone più a rischio, potrò escogitare strategie di prevenzione ed intervento ad hoc, mirate verso quella fascia della popolazione, anziché spalmate a tappeto sulla totalità della nazione.

Vorrei ricordare che provvedimenti arraffazzonati e protocolli infelici sono stati la causa di numerosi decessi nella prima parte di questa cosiddetta pandemia. Ricordo che nelle case di riposo, soprattutto lombarde, si è consumato un vero e proprio scempio: non sapendo, infatti, dove sistemare i pazienti dimessi dai reparti, ma non ancora del tutto guariti, si era deciso di ricoverarli nelle RSA del territorio, il che è equivalso ad accendere un fuoco in un pagliaio: i pazienti ancora positivi, a contatto con gli anziani, spesso ultraottantenni, hanno causato una vera e propria catena di decessi, sotto l’occhio consapevole e colpevole dei dirigenti e dei medici di tali strutture. Ma su questo indagherà la magistratura.

Va detto poi che gli anziani rappresentano una categoria a rischio anche al di fuori delle strutture. Quando vivono da soli, sono costretti a uscire di casa per andare a fare la spesa e sbrigare le commissioni necessarie; uscire rappresenta anche l’unico modo che hanno per socializzare e per avere un po’ di compagnia.
Quando vivono in famiglia, svolgono compiti al servizio di figli e nipoti, preparando i pasti, aiutando in piccole faccende domestiche e accudendo ai bambini. Anche in questo caso, durante il primo lock down non si è assolutamente tenuto in considerazione tutto ciò e si sono attuati provvedimenti che hanno remato nella direzione esattamente contraria rispetto a quella che si sarebbe dovuta perseguire. Chiudendo le scuole i nonni sono stati ancora più a stretto contatto con i bambini, invece che vedersi da essi tutelati, come i dati di allora già lasciavano intendere e l’ultimo rapporto dell’Ispi confermerebbe.

Si tratta di considerazioni talmente semplici che mi chiedo come sia stato possibile averle trascurate per così tanto tempo. Molto spesso sento dire che questo Governo ha dovuto affrontare una situazione straordinaria e ha cercato di farlo al meglio. Io non sono d’accordo con tale affermazione: non si può guardare alle numerose incongruenze tra dati raccolti e provvedimenti presi, senza chiedersi quale sia stata e sia ad oggi la logica sottesa ad una tale linea di intervento da parte delle più alte istituzioni di questa nazione.

Ma le recenti manifestazioni di piazza dei cittadini di numerose città importanti dimostrano che il popolo è stanco e stremato e si rende necessario un cambio repentino di rotta. Auspico che ciò possa avvenire al più presto, per la salute psichica di tutti noi.

 

ALCUNI DATI

L’età media dei pazienti deceduti e positivi a SARS-CoV-2 è 80 anni (mediana 82, range 0-109, Range InterQuartile – IQR 74-88). Le donne sono 16.002 (42,7%). L’età mediana dei pazienti deceduti positivi a SARS-CoV-2 è più alta di 30 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno contratto l’infezione (età mediane: pazienti deceduti 82 anni – pazienti con infezione 51 anni). La figura mostra il numero dei decessi per fascia di età. Le donne decedute dopo aver contratto infezione da SARS-CoV-2 hanno un’età più alta rispetto agli uomini (età mediane: donne 85 – uomini 79). L’età media dei decessi settimanali è andata sostanzialmente aumentando fino agli 85 anni (1° settimana di luglio) per poi calare leggermente.

Il numero medio di patologie osservate in questa popolazione è di 3,5 (mediana 3, Deviazione Standard 2,0). Complessivamente, 170 pazienti (3,5% del campione) presentavano 0 patologie, 647 (13,2%) presentavano 1 patologia, 945 (19,3%) presentavano 2 patologie e 3126 (64,0%) presentavano 3 o più patologie. Prima del ricovero in ospedale, il 21% dei pazienti deceduti SARS-CoV-2 positivi seguiva una terapia con ACE-inibitori e il 14% una terapia con Sartani (bloccanti del recettore per l’angiotensina). Nelle donne (n=1872) il numero medio di patologie osservate è di 3,6 (mediana 3, Deviazione Standard 2,0); negli uomini (n=3016) il numero medio di patologie osservate è di 3,4 (mediana 3, Deviazione Standard 2,0).

Al 28 ottobre 2020 sono 420, dei 37.468 (1,1%), i pazienti deceduti SARS-CoV-2 positivi di età inferiore ai 50 anni. In particolare, 93 di questi avevano meno di 40 anni (62 uomini e 31 donne con età compresa tra 0 e 39 anni). Di 15 pazienti di età inferiore ai 40 anni non sono disponibili informazioni cliniche; degli altri pazienti, 64 presentavano gravi patologie preesistenti (patologie cardiovascolari, renali, psichiatriche, diabete, obesità) e 14 non avevano diagnosticate patologie di rilievo.

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Dott.ssa MARIA RITA SCARCELLA – Psicologa Analista Junghiana
Fondatrice e Responsabile del Centro L’Equilibrio