Bentornato Pavia, storia di un calcio romantico che diventa ossigeno…

8 giugno 2025 | 09:11
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Bentornato Pavia, storia di un calcio romantico che diventa ossigeno…

“Nessun intento bellicoso. Vogliamo vincere, ma insieme, come una famiglia che ha smarrito il cognome e ora lo ritrova inciso sull’uscio di casa”.

PAVIA – Dopo anni di silenzi impolverati e logori tramonti sportivi, l’A.C. Pavia risorge con gesto fiero e d’animo collettivo: il marchio antico e riverito, da tempo rintanato nei cassetti della memoria, viene restituito alla luce grazie a un patto cavalleresco siglato il 4 giugno tra l’SSD Athletic Pavia e l’associazione dei tifosi Sioux Pavia APS, strenui custodi dello stemma, salvato nel 2019 da un’asta che ne aveva sancito l’estremo abbandono.

Il pubblico annuncio, degno delle grandi ricorrenze municipali, si è tenuto in una sala consiliare gremita come ai bei tempi delle partite vere: con il sindaco Michele Lissia in veste di cerimoniere civile, dirigenti, tifosi, e cittadini in ascolto, tutti raccolti sotto l’egida di un nome che ancora fa battere i cuori, A.C. Pavia.

La retorica civica del Sindaco

Lissia ha preso la parola con tono nobile, parlando del calcio come aretè urbana, “luogo d’aggregazione e condivisione di valori”. Una visione olimpica del pallone, dove il gesto atletico si mescola a quello comunitario. Ha promesso rispetto, rappresentanza e radicamento, quei concetti che un tempo si scrivevano con la penna stilografica sulla pelle delle maglie biancoblu.

Il cuore Sioux non ha mai smesso di battere

Poi è toccato a Luca Biglieri, spirito guida dei Sioux, parlare con voce venata di nostalgia e orgoglio: “Vedere di nuovo il nostro storico logo sul petto di una squadra è emozione pura. Il marchio è il volto della città, e il Pavia ne è l’anima in corsa”.

Con toni quasi omerici ha ripercorso la caduta nel 2016, quando l’A.C. Pavia fu travolto da un fallimento gestionale di matrice orientale – cinesi, per l’anagrafe – che mandò in rovina non solo i conti, ma anche le illusioni. Il marchio fu salvato come si salvano i libri in tempo di guerra: acquistato dai Sioux, conservato, custodito. Poi venne dato in uso a una nuova squadra, ma nel 2024 l’idillio si spezzò: troppi dissapori, troppa distanza tra curva e campo. Il logo tornò nell’ombra, fino a oggi.

Ora, grazie a una trattativa rapida e senza brutture – come si conviene a chi ha lo stesso sangue nei muscoli – l’accordo con l’Athletic Pavia ha ridato senso a quella storia. Il Pavia non è tornato. Il Pavia è sempre stato lì, in attesa di se stesso.

Un nuovo Pavia per una vecchia casa: il Fortunati

Si guarda già al ritorno nello stadio Pietro Fortunati, là dove si sono intrecciate le carriere di Acerbi, Giaccherini, Meggiorini – non giganti, forse, ma uomini veri del calcio vissuto. Biglieri tende la mano al Pavia Calcio, neopromosso in Serie D, che oggi vi gioca: nessuna guerra, solo trattativa civile. Perché il Pavia – ricorda lui stesso con lapidaria dolcezza – “l’è dla gent”, è della gente.

La nuova era secondo Salvucci

A chiudere il cerchio, Fabrizio Salvucci, presidente del nuovo-vecchio A.C. Pavia, ha offerto una lezione di memoria e sentimento. Ha narrato l’inizio dell’Athletic, nato nel 2013 in un campo dimenticato da Dio e dai consiglieri comunali. Lì, tra polvere e palloni sgonfi, è nata un’idea di calcio fatta di ragazzi, madri e passione. Una squadra fondata sull’uomo prima che sul giocatore: “Senza le persone, le squadre non esistono” – ha detto, e avrebbe potuto firmarlo anche Socrate.

Dopo un dignitosissimo quinto posto in Prima Categoria, ora l’A.C. Pavia riparte, con lo stesso spirito, ma con un nome che pesa come una lapide e luccica come un’insegna. Salvucci lo sa: “Un progetto vincente non si fa con i soldi, ma con le persone che remano tutte nella stessa direzione”.

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Il sindaco Lissia, interrogato sull’uso dello stadio, ha risposto da buon democristiano: “Il Fortunati è della città”. Dunque, usiamolo tutti – ma con ordine. Salvucci ha rincarato: “Nessun intento bellicoso. Vogliamo vincere, ma insieme, come una famiglia che ha smarrito il cognome e ora lo ritrova inciso sull’uscio di casa”.

Il Pavia è risorto, sì. Ma il difficile viene ora. Ci vorranno chilometri di fango, chilogrammi d’umiltà e qualche lampo di genio. Ma se davvero “l’è dla gent”, la gente farà il resto. Come sempre. Come una volta.