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Calcio Malato: sparisce anche la Spal

10 giugno 2025 | 08:06
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Calcio Malato: sparisce anche la Spal

Solo nell’ultima stagione, 12 milioni per galleggiare e restare a galla in una C sempre più abissale.

FERRARA – Ferrara piange. Non solo lacrime, ma stille di una memoria tradita. La Spal, gloriosa consorella del pallone italico, si avvia mestamente verso l’ennesimo declino, il terzo in ventun anni. Dalla serie A alla polvere. Dai cori del Mazza al silenzio delle carte bollate. E, forse, anche oltre. Verso il buio di un fallimento che non è solo contabile, ma morale, storico, identitario.

Come un nobile decaduto, la squadra dell’Emilia biancazzurra si congeda dalla Serie C non per motivi sportivi – ché sul campo la salvezza era stata agguantata – ma per la più amara delle ragioni: l’impossibilità di onorare il proprio debito col destino.

Il presidente Joe Tacopina, con la prosopopea del leguleio d’Oltreoceano, ha diramato un comunicato che suona come un epitaffio: “La Spal non è fallita”, dichiara. Ma è come dire che un uomo, caduto dalla torre, non è ancora morto perché il cuore batte. Peccato che il terreno sia a un palmo.

A nulla sono serviti i “significativi sforzi economici”: 50 milioni di euro bruciati in quattro anni – una somma che in altre mani avrebbe forse permesso la resurrezione, qui ha partorito il caos. Solo nell’ultima stagione, 12 milioni per galleggiare e restare a galla in una C sempre più abissale.

L’ultima umiliazione arriva il 6 giugno, quando dagli Stati Uniti non giunge il bonifico salvifico da tre milioni, cifra necessaria per mantenere la matricola viva. Il denaro non arriva. E con lui svanisce anche l’ultimo spiraglio.

A rendere il crollo ancor più tragico, un dettaglio che sa di beffa e di condanna: l’assalto al campo di allenamento da parte di una frangia di ultrà. Petardi, insulti, tafferugli. La curva che si trasforma in trincea. La tifoseria che da cuore diventa rogna. Un partner pronto a investire si defila, come capita quando si avverte che il puzzo della corda si è fatto insopportabile.

E qui sta l’anomalia tutta italiana. In un Paese dove le società si fanno e si disfano come castelli di sabbia, dove la storia vale meno di una fideiussione farlocca, la Spal si aggiunge alla lista delle illustre estinte. Pochi giorni fa era toccato al Brescia, altra nobile dalle 114 primavere, soffocato dall’arroganza solitaria di Massimo Cellino. Ora è il turno dei biancazzurri estensi, e domani – statene certi – qualcun altro seguirà.

Tacopina, già bersaglio di una tifoseria che non ha mai amato la sua gestione – memorabile il dito medio esibito come saluto nel giorno della retrocessione – si difende: “Siamo ancora proprietari, valuteremo altre categorie”. Forse l’Eccellenza, forse il nulla.

Il calcio italiano, quello vero, quello dei campanili e dei bar sport, non muore di botto. Si spegne lentamente, a colpi di PEC, di fideiussioni non versate, di presidenti forestieri e soci fantasmi. Muoiono le province, muoiono le storie, muoiono i sogni.

Ferrara oggi è orfana. Non della sua squadra, ma di un pezzo della sua anima.