
Inguardabili anche contro una squadra che vale come una formazione di Lega Pro o forse meno
REGGIO EMILIA – L’Italia vince. Ma è una vittoria che ha il suono stanco di una porta che cigola: 2-0 contro la Moldavia, modesto consesso di baldi e onesti corridori, che solo per geografia e non per blasone osa presentarsi sul medesimo rettangolo verde. Eppure, per lunghi tratti della contesa, ci han guardato negli occhi — senza tremare — e ci han fatto anche tremare.
Così si spiega la tristezza che aleggia sul Mapei Stadium, dove l’Azzurra di un tempo avrebbe danzato e oggi invece arranca come un pachiderma zoppo in cerca di gloria passata. Nessuno canta, nessuno esplode. Perché nulla, in questa Nazionale, accende l’animo. V’è da temere che nemmeno un Giotto con il pennello potrebbe dipingerla bella.
Raspadori, spirito garbato e garzoncello, trova il gol con una botta da fuori che è più consolazione che epifania. Poi Cambiaso, uno dei pochi con spina dorsale e senso dell’arte calcistica, timbra il raddoppio. Ma il cuore, quello vero, batte altrove. E non nei petti dei nostri.
La Moldavia, con la sfrontatezza di chi nulla ha da perdere, ci sfiora il pareggio due volte. Donnarumma sfarfalla, Dimarco salva sulla linea. Nicolaescu segna, ma è in fuorigioco. Per poco non ci svegliamo in un incubo balcanico.
Nel mentre, la Nazionale vaga. Come una compagnia d’operetta, gira la palla da destra a sinistra, da sinistra a destra, mai che si pensi di affondare, di mordere, di uccidere il gioco con la lama d’un’idea. Pare di veder danzare un branco di moscerini attorno a un bicchiere d’acqua mezza pieno.
Il CT non è che un traghettatore del nulla: oggi uno, domani chissà. Forse Ranieri, che già salvò imperi con la sola forza della sua placidità. Ma qui non basta un allenatore: ci vorrebbe un mago, uno stregone che infonda coraggio e identità in questi giovani stanchi, in questi vecchi svogliati, in questa maglia che pesa e che nessuno pare più degno di indossare.
Che Italia è questa, che nemmeno i moldavi temono? Un’Italia che fatica, s’illude e si compiace di vittorie senza sostanza. Una squadra che affronta la strada per il Mondiale come un pellegrino ubriaco in un deserto senza oasi.
Finiremo per arrivarci — forse — con il fiatone e il cappello in mano, implorando il destino come i poveri davanti ai banchetti dei signori. Ma a che pro? Per assistere a un’altra umiliazione in mondovisione? Per mostrare al mondo quanto poco basti, oggi, per impensierire il nostro calcio glorioso?
Loro, i moldavi, son dignitosi. Noi, poveri noi… ci vediamo a settembre.