Edegildo Zava Commuters-circleline 90/91

Commuters-circleline 90/91, Edegildo Zava espone allo spazio d’arte Scoglio di Quarto

19/09 » 04/10/19

: - Inizio ore 17.00 - Fine ore 19.30
  • info@galleriascogliodiquarto.com
  • Tel. 348-5630381

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MILANO – L’artista, pittore e fotografo legnanese Edegildo Zava espone allo spazio d’arte Scoglio di Quarto, in Via Scoglio di Quarto 4 a Milano espone le sue opere dal titolo “Commuters-circleline 90/91“.

La mostra è visitabile dal 19 settembre fino al 4 ottobre 2019, dal martedì al venerdì, dalle ore 17.00 alle ore 19.30, o su appuntamento.

Fantasmi della 90/91 di Roberto Borghi

Nel novembre del 1913, quando sulla rivista “Humanitas” esce il suo articolo intitolato I fantasmi dei vivi e dei morti, Anton Giulio Bragaglia è appena stato sconfessato da Umberto Boccioni e da altri esponenti di spicco del futurismo. Le sue ricerche sulla fotodinamica, secondo i firmatari del Manifesto dei pittori futuristi, non si situano nel campo dell’arte, ma in quello della tecnica fotografica, poiché sono tese a riprodurre schematicamente le fasi dei moti corporei.

Bragaglia in realtà ha ben altre intenzioni: come scrive in Fotodinamismo futurista, il volume dato alle stampe il 30 giugno 1913 grazie all’apporto finanziario di Filippo T. Marinetti, lo scopo preminente delle sue sperimentazioni consiste nella «visualizzazione dell’incorporeo», di «ciò che superficialmente non si vede» in quanto rappresenta «la pura essenza delle cose». Nell’articolo pubblicato su “Humanitas”, tale «pura essenza» viene declinata in «eterica», «astrale» e «mentale», secondo una tripartizione propria delle dottrine ermetiche ripresa poi dalla letteratura spiritista. In breve: i fantasmi, per Bragaglia, esistono, e possono finanche essere fotografati, ma lui è più interessato a quelli dei vivi – alle essenze impalpabili degli individui – che a quelli dei morti.

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Nei fotodinamismi di Bragaglia possiamo in fondo riconoscere gli antenati degli scatti che Edegildo Zava ha raccolto in questo catalogo. E non tanto perché in qualche modo gli assomigliano, come ha fatto notare più di un critico, semmai in quanto hanno a che fare con i fantasmi.

Zava, che io sappia, non partecipa a sedute spiritiche – a differenza dei futuristi che, nella quasi totalità dei membri del nucleo storico, erano attratti da «quelle zone meno scandagliate della realtà che comprendono i fenomeni del medianismo, dello psichismo, della rabdomanzia, della divinazione, della telepatia», come si può leggere nel manifesto del 1916 dedicato a La scienza futurista (antitedesca-avventurosa-capricciosa-sicurezzofoba-ebbra d’ignoto) –, però da anni conduce una ricerca fotografica alla quale ha dato il titolo di Poltergeist. Un titolo da prendere alla lettera, cioè come spirito, entità immateriale (in tedesco geist) che bussa (poltern), che si fa sentire attraverso un movimento sussultorio, una vibrazione.

Protagonisti dei primi Poltergeist sono stati clochard, artisti di strada, passeggeri sonnecchianti di metropolitane: figure tanto anonime quanto stranianti, catturate attraverso l’obiettivo dello smartphone nel corso di viaggi in città straniere. Ad accomunare tra loro questi soggetti, e a riconnetterli ai commuters della 90/91, è il tono emotivo all’insegna del perturbante, di un’inquietudine remota e indefinibile che riaffiora dal profondo. Questo leitmotiv si fa tanto più intenso, quanto più astratta è l’immagine che lo propone: il poltergeist all’ennesima potenza è quello in cui lo spirito si risolve interamente nel suo sussulto, coincide con la sua vibrazione.

Proprio di mere vibrazioni luminose sono composte le immagini più efficaci del ciclo dedicato ai commuters, i viaggiatori abituali della 90/91, una linea circolare di autobus che connette la media periferia di Milano con l’estrema. Zava si serve di questo lungo e un po’ minaccioso autosnodato da quasi un decennio e, nel corso del tempo, ha potuto constatare quanto poco sia mutata l’umanità che l’affolla: una mescolanza di ceti e identità, un amalgama di degrado e allarmante esuberanza. Fotografata nelle ore serali, colta attraverso i riverberi dei finestrini, in un gioco di trasparenze e sovrapposizioni, si rivela per quello che forse è: una congerie di fantasmi, anche se di fantasmi dei vivi.

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Dal testo “Circolare” di Eugenio Di Donato

Esco. È umido. Il cielo è denso di pioggia. È notte. Salgo sulla novanta, è mezza vuota. Mi siedo e schiaccio il naso contro il vetro. Guardo fuori. Auto puttane lampioni, e la striscia d’asfalto nuovo, nero e fumante che si allunga sotto la città. Fa caldo, la camicia si incolla alla pelle, mi serra il torace e le ascelle, sembro un lombrico sudato. Boccheggio.(…)

Biografia di Edegildo Zava

Edegildo Zava nasce a Legnano. Diplomato in materie tecniche e laureato in economia all’Università Cattolica di Milano, abilitato all’insegnamento delle materie tecniche aziendali negli Istituti Superiori, attivo in gioventù come industrial designer nella progettazione di grandi impianti industriali, negli anni novanta prende a frequentare l’Accademia Belle Arti di Brera e si dedica professionalmente alla ricerca artistica.

Dopo un inizio come pittore, passa alla sperimentazione e all’utilizzo di media diversi – dalla fotografia al video al computer – lavorando a cicli di opere in cui essi vengono utilizzati sia singolarmente sia in associazione, perseguendo un progetto di arte totale che lo porta a mescolare felicemente la fotografia con la pittura e il design.

Zava agli inizi della sua attività lavorativa disegnava e fotografava impianti grandiosi, dalle forme in odore di fantascientifico che fanno pensare a Sheeler, a certo dada-espressionismo tedesco e al concetto di machine célibataire istituito da Duchamp. Inoltre in alcuni suoi lavori da Arcimboldo a Caravaggio si vede in chiave moderna il De Prospectiva Pingendi di Piero della Francesca: “La pictura contiene in sé tre parti principali, quali diciamo essere disegno, commensuratio et colorare”.

Al fondo dei suoi lavori si percepisce una strana sensualità, un pò rappresa, congelata, pietrificata, ma anche pronta a scongelarsi con la percezione di un’energia sommersa possente, attraente e allo stesso tempo enormemente inquietante (vedi Nuclear Power Station). Il suo è una sorta di fascino per il dispositivo, non esattamente per “la macchina”, per l’apparecchio in sé, per un oggetto concreto insomma, ma per il meccanismo, per l’energia che lo muove, per le regole non immediatamente percettibili per il suo funzionamento.

Nella sua attività è stato seguito da curatori e storici dell’arte tra i quali Roberto Borghi, Nicoletta Boschiero, Rossana Bossaglia, Grazia Chiesa, Cristiana Collu, Philippe Daverio, Flaminio Gualdoni, Luciano Inga-Pin, Pierre Restany, Vittorio Sgarbi, Roberta Valtorta, Anna Zanco-Prestel, Emma Zanella.

Due sue opere Metropolitan Ghost #15 e Nuclear Power Station #3 sono presenti nelle collezioni del Museo della Fotografia Contemporanea (Mu.Fo.Co.) di Cinisello Balsamo (MI).

Inoltre una documentazione delle sue opere è conservata presso la biblioteca specialistica del Museo Mart di Rovereto. Vive e lavora tra Milano e Celle Ligure, negli anni Novanta ad Antibes.

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