Speciale Medicina, com’è cambiato il tasso di mortalità nel 2020?

Il rapporto ISTAT ci può dare una mano a capire meglio come è evoluta la situazione

LEGNANO – Nuova puntata della rubrica, curata dal Dott. Dario Zava, medico che cura per il nostro gionale articoli scientifici di attualità su vari aspetti della medicina.

Anche questa settimana restiamo in tema di Covid e parliamo del tasso di mortalità del 2020 alla luce dei dti forniti dall’Istat.

 


 

Il tasso di mortalità è cambiato con la pandemia o è rimasto lo stesso degli anni precedenti?

E’ trascorso ormai più di un anno dall’insorgenza della pandemia da Covid-19 e possiamo analizzare numerosi dati pubblicati recentemente dall’ISTAT. Uno degli argomenti maggiormente utilizzati dai così detti “negazionisti” all’inizio della pandemia era che in realtà Covid-19 colpiva solo gli anziani che comunque sarebbero deceduti per altri motivi e che quindi la pandemia in realtà era una grossa montatura mediatica messa in atto per spaventarci e poter controllare le nostre vite tramite le misure restrittive che abbiamo vissuto in prima persona in questi due anni. Una delle domande e delle argomentazioni spesso spesso utilizzati dai “negazionisti” è stata : “ma il tasso di mortalità è cambiato con la pandemia o è rimasto lo stesso degli anni precedenti?

Ricordo ancora, soprattutto all’inizio della pandemia, quando per commentare i dati riferiti alla mortalità del mese di Marzo 2020 (apparsa subito superiore a quella degli anni precedenti), molti segnalassero che in realtà la stessa nei mesi di gennaio -febbraio si era manifestata in misura ridotta, giustificando, quindi, l’aumento del mese di marzo come fisiologico e non legato alla pandemia.

Bene, oggi disponiamo dei dati completi sull’andamento della mortalità nel corso dell’anno 2020 grazie al rapporto ISTAT che ci può dare una mano a capire meglio come è evoluta la situazione.

Per prima cosa, analizzando tutti i decessi registrati in Italia tra il 1 marzo e il 30 aprile 2020, è emerso che il Covid-19 è risultato essere la seconda causa di morte dopo i tumori.

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Oltre ai decessi diagnosticati come dovuti a Covid, vi segnalo il dato di mortalità legato alle polmoniti (+211% rispetto agli anni precedenti), molto probabilmente queste “polmoniti” erano legate al Covid e ciò ne spiegherebbe il picco registrato (non dimentichiamo che il famoso Paziente 1 aveva una polmonite… e gli fu fatto il tampone violando i protocolli del tempo che non lo prevedevano non avendo il paziente avuto contatti stretti con persone rientrate dalla Cina…). Il segno + è stato registrato per tutta una serie di altre patologie come il Diabete (+41%), le cardiopatie ipertensive (+40%) Demenza e Alzhemier (+49%). Come interpretarlo? Due possibili spiegazioni, la prima è che siano decessi legati comunque al Covid; la seconda è che il restare a casa (perché praticamente costretti dal lockdown), la contemporanea chiusura di molti ospedali (perché dedicati ai pazienti Covid) e la difficoltà di recarsi dal proprio medico di medicina generale ha limitato molto le possibilità di cura di queste persone e quindi ne ha peggiorato lo stato di salute.

Sta di fatto che il rapporto certifica che nell’arco della prima ondata ci sono stati complessivamente circa 49mila decessi in più rispetto alla media degli stessi mesi nei cinque anni precedenti (2015-2019) di cui 29.210 attribuibili al Covid-19, 7610 legati a polmoniti ed il restante 30% ad altre cause.

Il confronto tra il numero di morti del 2020 rispetto alla media dei cinque anni precedenti è utile per capire quale sia stata la sovramortalità, cioè quante persone siano morte in più rispetto al passato.

Nell’anno 2020 il totale dei decessi per il complesso delle cause è stato il più alto mai registrato nel nostro Paese dal secondo dopoguerra: 746.146 decessi, 100.526 decessi in più rispetto alla media 2015-2019 (15,6% di eccesso). In tale valutazione occorre tener conto che nei mesi di gennaio e febbraio 2020 i decessi per il complesso delle cause sono stati inferiori di circa 7.600 unità a quelli della media dello stesso bimestre del 2015-2019 e che i primi decessi di persone positive al Covid- 19 risalgono all’ultima settimana di febbraio. Pertanto, volendo stimare l’impatto dell’epidemia Covid- 19 sulla mortalità totale, è più appropriato considerare l’eccesso di mortalità verificatosi tra marzo e dicembre 2020. In questo periodo si sono osservati 108.178 decessi in più rispetto alla media dello stesso periodo degli anni 2015-2019 (21% di eccesso).

Secondo l’ISTAT, lo scenario di diffusione epidemica si può distinguere in tre fasi. Il periodo da febbraio alla fine di maggio del 2020 è stato caratterizzato da una rapida diffusione del coronavirus con una concentrazione dei decessi prevalentemente nelle regioni del Nord, in particolare in Lombardia. L’Italia ha poi vissuto una fase di transizione, durante i mesi estivi, con una trasmissione del virus piuttosto contenuta. Dalla fine di settembre il numero dei nuovi positivi è tornato ad aumentare fino alla fine di novembre, con un aumento della mortalità diffuso in molte regioni.

Il bilancio della prima fase dell’epidemia, in termini di eccesso di decessi per il complesso delle cause, è particolarmente pesante per la Lombardia (+111,8%); per tutte le altre regioni del Nord l’incremento dei morti del periodo marzo-maggio 2020 è compreso tra il 42% e il 47%; solamente il Veneto e il Friuli Venezia Giulia hanno un eccesso di decessi più contenuto (rispettivamente +19,4% e +9,0%).

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Considerando il complesso dei casi diagnosticati in tutto il 2020, più del 50% è concentrato in 4 regioni del Nord: Lombardia, Piemonte, Veneto e Emilia-Romagna.

Nel Centro e nel Mezzogiorno la prima ondata non ha provocato un forte eccesso di mortalità grazie alle rigide misure di lockdown nazionale che hanno arginato la diffusione del virus in queste zone. Invece nella seconda ondata i decessi Covid-19 spiegano rispettivamente l’81%, e il 70% dell’eccesso di mortalità del periodo ottobre-dicembre.

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Possiamo quindi concludere che la pandemia da Covid-19 ha causato un eccesso di mortalità al Nord durante le prima ondata, eccesso che si è poi esteso con la seconda ondata a tutto il Paese (pur rimanendo più colpito il Nord).

Ormai è noto che gli anziani siano più a rischio, e i dati lo confermano. Guardando alle classi di età, il contributo più rilevante all’eccesso dei decessi dell’anno 2020, rispetto alla media degli anni 2015-2019, è dovuto all’incremento delle morti della popolazione con 80 anni e più che spiega il 76,3% dell’eccesso di mortalità complessivo; in totale sono decedute 486.255 persone di 80 anni e oltre (76.708 in più rispetto al quinquennio precedente). L’incremento della mortalità nella classe di età 65-79 anni spiega un altro 20% dell’eccesso di decessi; in termini assoluti l’incremento per questa classe di età, rispetto al dato medio degli anni 2015-2019, è di oltre 20 mila decessi (per un totale di 184.708 morti nel 2020).

Un altro dato interessante si può ricavare incrociando i dati sull’andamento del numero di casi di Covid-19 segnalati durante l’anno con i decessi totali registrati nel 2020.
E’ chiaro a tutti che durante la prima ondata i tamponi a disposizione erano pochi, a tal punto che venivano riservati solamente ai sintomatici che venivano ricoverati in ospedale e ciò ha reso impossibile capire quanti fossero realmente gli infetti (anche asintomatici o con sintomi lievi).

Nella figura qui sotto si vede bene come nella seconda ondata il numero complessivo di casi giornalieri notificati è decisamente più elevato di quello della prima ondata ma ciò è in larga parte dovuto alla aumentata capacità diagnostica che ha permesso appunto di individuare moltissimi soggetti asintomatici o paucisintomatici.

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Se però guardiamo la prossima figura che rappresenta l’andamento dei decessi, notiamo che il numero di decessi tra le due ondate è abbastanza simile. Incrociando questi dati è verosimile pensare (visto che la mortalità in rapporto al numero di infetti non è mai cambiata da quando è scoppiata la pandemia) che il numero di realmente infetti durante la prima ondata sia stato molto simile (e quindi molto maggiore di quanto realmente stimato) a quello registrato nella seconda ondata (dove il rapporto tra infetti e decessi è risultato essere molto più plausibile grazie alla maggiore disponibilità di tamponi).

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In questo senso diventa difficile capire cosa sia realmente successo nel mese di marzo. Ricordo ad esempio come la partita di calcio di Champions League tenutasi a Milano tra Atalanta e Valencia sia stata ritenuta da molti un moltiplicatore di infezioni, ma è realmente così oppure in realtà a quella partita le persone erano già arrivate con l’infezione in corso? Sicuramente andare allo stadio non ha aiutato a contenere l’infezione ma la gravità del quadro potrebbe essere stata influenzata sensibilmente dalla mancanza di strumenti per fare diagnosi di Covid.

Comunque sia nel grafico sotto riassumo i dati registrati sull’eccesso di mortalità durante le due ondate del 2020.

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Per concludere, quindi, sicuramente il Covid in Italia ha generato un eccesso di mortalità soprattutto nella popolazione anziana ed ha probabilmente avuto un effetto acceleratore su numerose persone anziane con patologie concomitanti. Un altro dato interessante che emerge dai dati ISTAT è che non abbiamo imparato nulla dalla lezione della prima ondata di Marzo, visto che durante la seconda ondata numero di decessi e di infetti è risultato sovrapponibile. L’aspetto secondo me più grave è stato, durante la seconda ondata, la mancata capacità di fare un tracciamento degli infetti e delle persone potenzialmente a contatto con infetti per limitare appunto la diffusione del virus; se infatti durante la prima ondata ciò era impossibile sia per la mancanza di tamponi sia per la diffusione massiccia del virus (maggiore di quanto sia stato ipotizzato) durante la seconda ondata non avremmo dovuto trovarci impreparati.

Dott. Dario Zava